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Vita da bar
Sono ancora in spirito di inizio anno. Sono in vena di auguri, desideri per il futuro e buoni propositi. Uno degli auguri che ti faccio per quest’anno è quello di condividere tempo di qualità con le persone a cui vuoi bene: amici, famiglia, libri, compagni a quattro zampe.
Un luogo importante per fare tutto questo in Italia è il bar.
Qualche tempo fa abbiamo parlato di osterie e caffè. Abbiamo detto che i caffè erano luoghi importantissimi per la vita sociale di una città. 
Alcuni di voi mi hanno contattata e mi hanno chiesto: “Linda, hai parlato di caffè, ma il bar italiano?” Oggi voglio rispondere a questa domanda. Vado un po’ avanti nella storia e ti racconto di come il caffè diventa bar. Poi, ti racconto alcuni elementi di questo bar con l’aiuto di un libro contemporaneo.
Bene, siamo rimasti ai caffè del 1800. 
A a cavallo tra il 1800 e il 1900 aprono molti caffè in Europa. Iniziano a servire tè, infusi e inizia la moda dei cocktail, le “code di gallo”, se traduciamo letteralmente. Divertente eh? Siamo così abituati alla parola “cocktail” e non pensiamo che tradotto letteralmente in italiano fa ridere: “coda di gallo”. Comunque...
È vero che alla fine del 1800 i caffè sono diffusi, popolari. Non si usa ancora, però, la parola “bar”. Questa parola non è usata in Italia prima della fine del 1800, inizio del 1900. 
L’influenza è del mondo anglosassone e la parola arriva probabilmente dagli Stati Uniti. In Europa nascono American bar. Fra questi, due esempi di spicco, in rilievo, sono Harry’s New York Cocktail bar di Parigi (1910) e il bar del Savoy Hotel di Londra (1921).
Da dove arriva la parola “bar”? 
Non siamo del tutto sicuri. Probabilmente arriva dall’idea di “barrier” come “sbarra” o “barriera” in inglese. Questa sbarra sarebbe quello che noi in Italia chiamiamo “bancone” o “banco”. Il bancone è una separazione fisica che separa il cliente e il consumatore. Questo c’era già nei bar degli Stati Uniti.
Ovviamente c’è anche una versione italiana della storia! Certo, c’è un’ipotesi che dice che sarebbe stato un italiano a inventare la parola “bar”. Nel 1898 Alessandro Manaresi, un imprenditore toscano, apre un bar, B A R. E perché sceglie questa parola? Perché è l’acronimo di Banco a Ristoro. 
Non sappiamo bene quale sia la versione reale. Sicuramente, l’idea di bar cambia in base al paese di riferimento. In Gran Bretagna, forse, con la parola bar possiamo pensare a un “wine bar”. Negli Stati Uniti un bar è un posto dove possiamo prevalentemente consumare bevande alcoliche. Non è il posto adatto per un caffè o un cappuccino. Per quello dobbiamo andare in un coffee shop.
In Italia, al bar si trova tutto: bevande analcoliche, ma anche birra o liquori. Gelati confezionati, patatine, ma anche un pasto caldo se il bar ha una cucina. In Italia, il bar è davvero un posto di tutti: grandi e piccini, giovani e anziani.
Il bar in Italia è sicuramente uno dei simboli nazionali. Ci piace bere un caffè al volo, cioè veloce. Ma ci piace anche sederci con gli amici e goderci un aperitivo. Andiamo al bar per un panino in pausa pranzo, ma anche per una cioccolata calda in inverno. Quando un italiano è all’estero e trova un bar italiano, si sente a casa. 
Diciamo che fra caffè e bar non c’è una grandissima differenza. Nel bar l’offerta di cibo e bevande è forse più grande e alcuni bar non sono decorati per passarci molte ore, ma piuttosto una visita veloce. 
Nel 1800, all’inizio, andare al caffè era una cosa borghese, elitaria. Dopo la seconda guerra mondiale il bar diventa un luogo più popolare. Iniziano a frequentarlo persone di ogni classe sociale. Questo succede soprattutto quando in Italia inizia il boom economico, negli anni ‘50 e ‘60. 
La televisione italiana, il primo programma Rai è in onda nel 1954. In quegli anni, pochissimi italiani potevano permettersi, cioè potevano comprare, una televisione. Così, dove potevano guardare i programmi? Ovvio, al bar! Le famiglie andavano al bar per vedere la televisione tutti insieme. Il caffè era la cosa meno costosa ed era un po’ il prezzo figurativo per stare lì a guardare la tele.
Poi, in quegli anni, gli anni 50 e 60 succede un’altra cosa grandissima: l’immigrazione interna al paese. Molte persone del Sud Italia iniziano a spostarsi e vanno al Nord attirati dalle possibilità di lavoro. Il bar è un luogo per socializzare e per creare nuove reti di contatti nella nuova città.
L’abitudine di stare al bar era in quegli anni soprattutto maschile. Gli uomini si riunivano in questi bar chiamati “Bar Sport” dove si parlava, si seguiva il calcio, si discuteva di politica. Si giocava a Totocalcio, un gioco di scommesse calcistiche. 
Questo nuovo ritmo, più veloce e dinamico, creato dal boom economico spinge gli italiani a guadagnare di più e a mangiare di più fuori casa. I prezzi dei bar sono accessibili e per molte persone diventano come una seconda casa. 
Voglio leggere due piccoli brani di un libro che si chiama proprio “Bar Sport”. È dello scrittore e giornalista Stefano Benni. Parla, appunto del Bar Sport e racconta un po’ le piccole storie personali che si trovano in un bar italiano. È un libro del 1976. Nel 2011 è uscito un film basato sul libro con lo stesso titolo.
Comunque. Benni nel libro descrive diversi elementi che ci sono in un bar Sport. Il primo che voglio condividere sono “le paste”. Che cosa significa “le paste”. Questa parola, paste, al plurale è una parola che si usa in alcune zone d’Italia per parlare di un cornetto, una brioche. Pasta, oltre a essere la pasta che mangiamo a pranzo, può anche essere un altro nome per cornetto. 
Benni dice che al bar Sport non si mangia e le paste sono lì in vetrina da tantissimi anni, sono quasi una decorazione. Parla poi della Luisona, la pasta più vecchia e vero simbolo del bar.
Senti cosa dice:
“Al Bar Sport non si mangia quasi mai. C’è una bacheca con delle paste, ma è puramente coreografica. Sono paste ornamentali, spesso veri e propri pezzi d’artigianato. Sono lì da tanti anni, tanto che i clienti abituali, ormai, le conoscono una per una. 
Entrando dicono: «La meringa è un po’ sciupata, oggi. Sarà il caldo». Oppure: «È ora di dar la polvere al krapfen». Solo, qualche volta, il cliente occasionale osa avvicinarsi al sacrario. Una volta, ad esempio, entrò un rappresentante di Milano. Aprì la bacheca e si mise in bocca una pastona bianca e nera, con sopra una spruzzata di quella bellissima granella in duralluminio che sola contraddistingue la pasta veramente cattiva. Subito nel bar si sparse la voce: «Hanno mangiato la Luisona!». La Luisona era la decana delle paste, e si trovava nella bacheca dal 1959. Guardando il colore della sua crema i vecchi riuscivano a trarre le previsioni del tempo. La sua scomparsa fu un colpo durissimo per tutti. Il rappresentante fu invitato a uscire nel generale disprezzo. Nessuno lo toccò, perché il suo gesto malvagio conteneva già in sé la più tremenda delle punizioni. Infatti fu trovato appena un’ora dopo, nella toilette di un autogrill di Modena, in preda ad atroci dolori. La Luisona si era vendicata”.
Poi, al bar Sport, ovviamente non può mancare un biliardo e delle carte. Le carte sono il vero passatempo e i clienti del bar si divertono a giocare a Briscola. La Briscola è un gioco di carte molto famoso in Italia. Direi, insieme alla Scopa, il più famoso. Nel racconto di Stefano Benni, non è importante il valore della carta, ma con quanta forza si sbatte sul tavolo. 
“La briscola”. Gioco molto semplice. L’avversario sbatte sul tavolo una carta, e voi dovete sbatterla più forte. I buoni giocatori rompono dai quindici ai venti tavoli a partita. È opportuno, prima di sbattere la carta sul tavolo, inumidirla con un po’ di saliva. Le carte prendono così la caratteristica forma a cartoccio, e la durezza di un sasso. In molti bar, per mescolare un mazzo di carte da briscola, si usa un’impastatrice. Quando la carta è abbastanza vecchia, diventa molto dura e pesante, e se non siete allenati è opportuno giocare con guanti da elettricista.
Al Bar Sport però non ci sono solo oggetti, vino e cibo. Ci sono soprattutto persone o personaggi potremmo dire. Ogni personaggio ha caratteristiche particolari, comuni da un bar all’altro. Benni descrive una figura presente in molti bar: il professore anche conosciuto come “tennico”! Con due n. 
In questo caso non parliamo di un professore vero e proprio, questo è un termine ironico che Benni usa. Vuole dire che c’è una persona che sa tutto su ogni argomento, un so-tutto-io. Anche “tennico” è ironico. La parola corretta, infatti, sarebbe tecnico. 
Comunque, nel libro leggiamo questo:
Il tecnico da bar, più comunemente chiamato «tennico» o anche «professore», è l’asse portante di ogni discussione da bar. Ne è l’anima, il sangue, l’ossigeno. Si presenta al bar dieci minuti prima dell’orario di apertura: è lui che aiuta il barista ad alzare la saracinesca. 
Dal suo angolo il tecnico osserva e aspetta che due persone del bar vengano a contatto. Non appena una delle due apre bocca, lui accende una sigaretta e piomba come un rapace sulla discussione. Nell’avvicinarsi, emette il verso del tecnico: «Guardi, sa cosa le dico», e scuote la testa. Il tecnico resta nel bar tutta la mattina: nei rari momenti di sosta tra una discussione e l’altra, studia la Gazzetta dello Sport. […] Normalmente, si ciba solo di aperitivi, olive, patatine fritte e caffè […] 
Bene, ti ho fatto assaggiare un po’ della vita da bar.
Osterie, caffè, bar hanno un po’ seguito l’evoluzione della società e oggi il bar è un punto di riferimento nelle nostre vite. Conosciamo il barista, abbiamo il nostro bar di fiducia e l’incontro al bar diventa un appuntamento fisso della settimana. Tu vai al bar? Hai il tuo bar di fiducia? Nel tuo paese, il bar è un posto importante?
Se vuoi, scrivimi un’email oppure cerca il gruppo Facebook di Pensieri e Parole per discutere insieme.
L’episodio di oggi finisce qui. 
Come sempre, grazie infinite per l’ascolto e buona settimana.